La Barba del Generale (Janggun-ui Suyeom, 1968)
- TetsuyaHondo02
- 8 dic 2024
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Regia: Lee Seong-Gu Soggetto: Lee O-Young Sceneggiatura: Kim Seung-Ok Produttore: Kim Tai-Soo Produttore Esecutivo: An Seung-Jun, Kim Cab-Eui Casa di produzione: Tae Chang Enterprises Paese di produzione: Corea del Sud Fotografia: Jang Seok-Jun Montaggio: Yu Jae-Won Musiche: Kim Hee-Jo --- Data di rilascio: 14 settembre 1968 Considerabile il Damiano Damiani sudcoreano, cugino del regista Lee Byeong-Il, inizia a lavorare alla Dong-A Film Company nel 1947: entra poi all'Università di Dongguk e milita nel Film Arts Research Group di Yoo Hyeon-Mok. Esordisce come attore nel suo cortometraggio di "Sea Wind" (1949), lavora come sceneggiatore ed assistente alla regia per tutti gli anni '50, fino al suo esordio come regista nel "A Murder Without Passion" del 1960. Nello stesso anno girò il "A Young Look", praticamente la prima opera prodotta dalla Shinye Production e il primo seishun eiga al di fuori dal Giappone (non a caso uno dei fondatori della società era il produttore nippo-coreano Jeon Hong-Sik). Intorno al 1971 dirigerà il primo film sudcoreano in 70 mm, "The Story of Chunhyang"; e dopo il "Road" del 1978 è emigrato negli USA, dove risiede tutt'oggi.

A seguito della morte dello scrittore Kim Chul-Woon (Shin Seong-Il), i due investigatori Park (Kim Seung-Ho) e l'innominato Kim Seong-Ok si fiondano sul caso: dai suoi parenti non hanno alcun risultato e ricevono un indizio da un suo collega, anch'esso scrittore, che da Kim ha sentito parlare di un romanzo intenzionato a scrivere, intitolato "La Barba del Generale". Narra la storia di un generale baffuto che ha avuto un ruolo di primo piano nell'indipendenza della sua nazione, tanto che i suoi abitanti si fanno crescere i baffi per onorarlo... tranne il protagonista, che alla fine viene emarginato. A pista morta, cercano risposte nella ex-ballerina Shin-hye (Yoon Jeong-Hee), amante di Kim. Si viene così a scoprire che Kim aveva enormi difficoltà a convivere nella realtà di tutti i giorni...

Confusionario poliziesco che cambia i connotati in un film del genere documentaristico sulla società sudcoreana del dopoguerra, che dai lunghi monologhi e dai continui flashbacks ci vuole rendere partecipe della complicata situazione sociale nella dittatura di Park Chung-Hee: soprattutto dal punto di vista fotografico è possibile ammirare come si passa dal bianco e nero al colore, il vestiario più a colori dei colori stessi, un breve cartone animato che riassume il romanzo di Shin e le scenografie dettagliatissime della casa di Kim, un atelier atto a rappresentare il mondo in cui viveva Shin e dal quale non voleva uscire. Chiara ispirazione al Mr. Everyman giapponese, montato decentemente e dalle musiche eccessivamente melodrammatiche, che a tratti rendono il film uno dei nostrani lacrima movie italici.
Riassumendo l'intera esperienza, è stato un macigno che solo gli storici sapranno degustare approfonditamente. Per il resto, è un melodramma passabile sulla Corea di allora. Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!
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