Quando una caffetteria divenne il principale punto d'incontro per i dissidenti giapponesi degli anni '30
- TetsuyaHondo02
- 30 mar 2024
- Tempo di lettura: 3 min

Nata nel 1934, all'epoca divenne uno dei punti caldi per manifestare in segretezza il proprio dissenso nei confronti del sempre più diffuso militarismo nel Sol Levante.
Il fondatore Shoichi Tateno (1908-1995) aspirava a divenire un pittore, ma alla fine abbandonò la scuola d'arte e si dedicò a tempo pieno nel sostenere gli attivisti del movimento operaio di Kyoto. Ebbe così l'idea di aprire la caffetteria in questione, con l'intento di mettere assieme l'arte e il socialismo: non a caso scelse di nominare il locale in "Salon de thé François", volto ad omaggiare il pittore francese Jean-François Millet, uno dei maggiori esponenti del realismo.
Immediatamente divenne uno dei punti d'incontro più amati della città, tanto che i suoi ricavi vennero donati in gran segreto al Partito Comunista Giapponese... ed a partire da luglio del 1936 la caffetteria divenne la sede del quotidiano "Doyobi" (土曜日, Sabato), fondato da un docente universitario dell'Università Imperiale di Kyoto (Masakazu Nakai) e da un attore della Shochiku (Raitaro Saito). Distribuito due volte al mese sia a Kyoto che ad Osaka, tirava all'incirca 8.000 copie. Ma una volta che l'impero entrò in guerra con la Cina a luglio dell'anno seguente, il sig. Tateno fu arrestato per il suo attivismo contro la guerra: finirono in manette anche Saito e Nakai, tre mesi dopo. Rushiko Sato, la moglie di Tateno, gestì il locale durante la sua permanenza dietro alle sbarre a Yamashina.
Una volta rilasciato, il sig. Tateno decise di rinnovare il suo locale nel 1941, acquistando una palazzina di fronte alla caffetteria. Alessandro Bencivenni, un suo amico e anche lui accademico all'Università di Kyoto, si ispirò agli interni delle navi da crociera di lusso dell'epoca: anche alcune colonne ripiegarono sullo stile del Rinascimento. Un altro suo amico, Shiro Takagi, si occupò delle vetrate a colori e dipinse alcuni murali. Ma quando il conflitto si espanse a Pearl Harbour a dicembre, la caffetteria fu rinominata "Miyako Sabo" (都茶房, Sala da thè di Kyoto) a causa del divieto legislativo di usare parole nemiche.
Quando nel settembre del 1943 l'Italia firmò l'armistizio con gli Alleati, le autorità giapponesi richiesero a Bencivenni di giurare fedeltà alla Repubblica di Salò. Egli si rifiutò e venne internato assieme a Fosco Maraini (anche lui presente a Kyoto, all'epoca) per due anni nel campo di Nagoya. Anche il sig. Tateno ebbe notevoli difficoltà nel continuare a lavorare nel suo locale, tant'è che fu costretto a servire tazze di thè verde e chips di banana essiccata come blandi spuntini... fino a chiudere la sua attività nel tardo 1944 per via della carenza di cibo sempre più soffocante.
Terminata la guerra, la caffetteria riapre i battenti nel 1947: assieme a lei, il sig. Tateno decise di aprire una libreria in un vecchio negozio sul lato sud del quartiere. Denominata "Millet Shobo" (ミレー書房), ebbe il prestigioso onore di rivendere libri stranieri e di filosofia, difficilmente reperibili nel secondo dopoguerra. In seguito, il responsabile della libreria divenne indipendente e si separò dalla caffetteria, divenendo a sua volta una sala da thè, cambiando il nome in "Sangatsu Shobo" (三月書房).
L'Agenzia Giapponese per gli Affari Culturali, nel 2002, assegnò alla caffetteria il titolo di bene culturale materiale a livello nazionale. Tutt'oggi, il locale è gestito dai tre figli del sig. Tateno.
Ci auguriamo che nei suoi ottant'anni di attività, appena compiuti, la caffetteria continui ad essere uno dei punti dove le idee possano circolare in assoluta libertà... in eterna memoria di Tateno.
Comments