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Un Uomo Chiamato Tigre (A Man Called Tiger, 1973)

Regia: Lo Wei Sceneggiatura: Lo Wei Produttore: Raymond Chow Casa di produzione: Golden Harvest Coreografie: Han Ying-Chieh Fotografia: Chris Chen Montaggio: Peter Cheung Musiche: Joseph Koo Costumi: Chu Sheng-Shi --- Data di rilascio: 1° febbraio 1973 Appena dopo il lancio di Bruce Lee negli USA, Wei cerca di farsi feticcio anche la mina vagante di Wang Yu, assieme ad altri che avevano già fatto la gavetta con lui come Nora Miao e Cheng Pei-Pei. Piccolo riassunto per chi non lo conosce: appena dopo il termine della WW2, nel 1948 si trasferisce a Hong Kong e quasi subito ottenne il primo ruolo di rilievo nel kolossal di "Sorrows of the Forbidden City", poi come protagonista in "Prisoner of Love" (1951) e diviene regista nel 1953 con "The Husband's Diary", anch'esso interpretato da lui. Instancabile lavoratore a getto continuo, divenne uno dei cineasti più prolifici del porto ed attirò a vagonate gli spettatori nei cinema orientali, tanto da aprirsi nel 1974 la sua casa cinematografica. Provò a lanciare un giovane Jackie Chan durante il decennio, ma alla fine i films dove recitava si erano rivelati dei colossali flop e trovò fortuna lasciando la casa... passa a miglior vita nel 1996 per un'insufficienza cardiaca.

Chin Fu (Jimmy Wang Yu) sospetta da tempo che il suicidio di suo padre fosse in realtà un regolamento di conti da parte della yakuza: per indagare più approfonditamente viene reclutato dal boss Shimizu (Mitsuo Kuro) nel suo clan, per spazzare via il suo rivale Yamamoto (Tien Feng). Nella sua investigazione si aggiunge anche la cantante Yoshida Ayako (Kawai Okada), anch'essa in cerca di suo padre...

Uragano implacabile di cazzotti, destinati ad aumentare sempre di più fino all'inevitabile finale sanguinolento. Un buon 70% del film è colmo di acrobazie dolorose da patrimonio dell'UNESCO, il restante 20% da riempitivi sfruttati come scuse per le botte di Wang Yu e per palesare sia la passione del gioco d'azzardo di Wei che per l'enorme quantitativo di donzelle (quattro in tutto il film!), con lo scopo di mostrare la bellezza del loro guardaroba (Wang Yu incluso). Sceneggiatura quasi del tutto campata per aria dove James Tin Chuen ci viene presentato come l'amico di Wang Yu, per poi sparire letteralmente nel nulla, dove solo nel finale ingrana definitivamente la marcia; fotografia che anticipa il Cinéma du Look del prossimo decennio, con la presenza imperante del colore acceso e panorami da cartolina. Nel montaggio non si riscontra nulla di interessante, l'opposto nella colonna sonora di Koo che rende più edulcorata la visione del film.

Passabile avventura al retrogusto di yakuza eiga, ma indimenticabile per la rovente atmosfera gongfupian contemporanea! Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!




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