top of page

Risultati dell'esplorazione...

59 elementi trovati per ""

  • Il Caso Drabble (The Black Windmill, 1974)

    Regia: Don Siegel Soggetto: Clive Egleton Sceneggiatura: Leigh Vance Produttore: Don Siegel, David Brown (esecutivo), Richard D. Zanuck (esecutivo), Scott Hale (associato) Casa di produzione: Universal Pictures, Twickenham Film Studios Paese di produzione: UK, USA Distribuzione: Universal Pictures Fotografia: Ousama Rawi Montaggio: Antony Gibbs Musiche: Roy Budd Trucco: Freddie Williamson (non accreditato) --- Data di rilascio negli USA: 17 maggio 1974 (Radio City Music Hall, New York) Data di rilascio in UK: 18 luglio 1974 (Londra) Siegel: impossibile non conoscerlo. Autore del film su Callaghan del 1971, autore dell'ultimo film di John Wayne nel 1976 e del dramma carcerario di Alcatraz nel 1979. Stella della Warner Bros , aiutò nel decollo della carriera di Eastwood e del futuro regista Sam Peckinpah. Non ho nemmeno il bisogno di illustrarvi la sua fruttuosa carriera, i suoi risultati sono visibili sotto gli occhi di tutti. Due ragazzini sono intenti a giocare con un aereo telecomandato all'interno di una base abbandonata della RAF, fino a quando del personale militare non li coglie di sorpresa e li porta ai loro superiori. Vengono così rapiti ed in seguito si scopre che sono trafficanti d'armi coinvolti nello smercio di armi per i terroristi dell'Irlanda del Nord, che il maggiore John Tarrant (Michael Caine) stava cercando di smantellare assieme all'MI5: uno dei due ragazzini è suo figlio. Deciso a vendicarsi della banda, viene prima incastrato da costoro con delle prove fabbricate ed è poi costretto a cavarsela da solo... Esplosiva combinazione tra mistero e tensione, tenuta assieme da un'ottima sceneggiatura e da delle interpretazioni fenomenali da tutto il cast. Tassello dopo tassello, la verità verrà a galla. Assieme a numerosi colpi di scena ed all'astuzia carismatica di Caine, che nonostante sia nel mirino nella banda che nell'MI5, non perde il suo manto e continua a perseverare nella sua vendetta. C'è anche bisogno di dire come è superlativa la fotografia sulla campagna inglese, sul guardaroba dei personaggi e sulla notte di una Parigi ormai quasi del tutto estinta. Anche il montaggio non delude, nei suoi lunghi piani sequenza... come per la musica, che incamera la paura e il riscatto di Caine. E credo che dopo la visione del film, prenderei le distanze da qualunque mulino a vento di colore nero... può nascondere dei segreti parecchio scottanti... Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • Girasole (Himawari, 2000)

    Regia: Isao Yukisada Sceneggiatura: Shinsuke Sato Produttore: Yukio Nihei, Hidemi Satami Produttore Esecutivo: Soichiro Harada Casa di produzione: KSS, Suplex Fotografia: Jun Fukumoto Montaggio: Takeshi Imai Musiche: Hirofumi Asamoto Alle elementari vide il " Kagemusha " (1980) di Kurosawa e da allora decise di divenire regista: si mise a lavorare come assistente alla regia nelle fiction televisive di Shunji Imai per quasi tutti gli anni '90, per poi esordire alla regia nel 1998 con il dramma sociale di " Open House " ed acquisire notorietà internazionale con il famigerato Girasole (che a breve tratterò), che vinse un FIPRESCI Prize e fu candidato al "New Currents Award" del Festival del Cinema di Pusan in Corea del Sud: ed è proprio con la Corea che il cineasta riesce ad immortalare i problemi con i coreani " zainichi " (emigrati coreani in Giappone) nel 2001 con il dramma di " Go! ", primo film in assoluto congiuntamente prodotto tra la penisola e il Sol Levante. Tutt'oggi attivo, nel 2023 ha rilasciato il thriller spionistico di " Revolver Lily ". A seguito della morte di Tomomi (Kumiko Aso), degli ex-compagni di scuola si riuniscono al suo funerale e ricostruiscono le proprie vite assieme a quella di Tomomi. Ma una volta che i genitori di Tomomi identificano il suo presunto cadavere, si scopre che non è lei... Melancolica rappresentazione della perdita incolmabile di una persona, dal quale si poteva fare di più... fotografata DIVINAMENTE (il maiuscolo era necessario!) con delle fonti di luce che accecano quasi del tutto le visuali del film, per indicare alla Montale che il sole rovente tormenta la vita della protagonista, dove lei semplicemente chiedeva di essere accettata ed amata; angoli olandesi da neo-noir, cinepresa a mano per dare l'idea di essere presenti anche noi nella tragica storia dei co-protagonisti e nella loro ricostruzione dei fatti (flashback). Nel montaggio non si fanno mancare longevi piani sequenza e geniali transizioni da una scena all'altra, dettagli che influenzano di lacrime la colonna sonora. Ricordatevi che i girasoli a volte non possono essere sinonimo di felicità... Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • Elisa (1995)

    Regia: Jean Becker Sceneggiatura: Jean Becker, Fabrice Carazo Produttore: Henri Brichetti, Christian Fechner Produttore Esecutivo: José Luis Garci, Didier Pain, Hervé Truffaut Casa di produzione: Les Films Christian Fechner, Solo Productions, TF1 Films Production Paese di produzione: Francia Distribuzione: Gaumont Buena Vista International Fotografia: Etienne Becker Montaggio: Jacques Witta Musiche: Michel Colombier, Zbigniew Preisner Scenografia: Thérèse Ripaud Trucco: Judith Gayo, Frédérique Marcus, Muriel Paupere, Jean-Christophe Roger --- Data di rilascio: 1° febbraio 1995 Figlio dell'apripista della Nouvelle Vague , Jacques Becker , prematuramente scomparso all'età di 53 anni per una emocromatosi; inizialmente si diletta come suo aiuto-regista, per poi esordire alla regia con il poliziesco di " Quello che Spara per Primo " nel 1961 al fianco di un Belmondo all'apice della sua carriera. Dopo avere diretto sempre assieme a lui la commedia " Un Avventuriero a Tahiti " (1965), si ritira per ben 20 anni dalla sedia da regista e ci ritorna solamente nel 1983 con Isabelle Adjani nel thriller psicologico di " L'Estate Assassina ", che gli valse a lei un César per la sua interpretazione. Tutt'oggi vivo (91 anni), continua a lavorare dietro le quinte e anche sulla celeberrima sedia: si segnala la sua ultima uscita del 2022, intitolata " Les Volets Verts ". Marie (Vanessa Paradis), a seguito del suicidio di sua madre Elisa (Florence Thomassin), vive in un orfanotrofio e si guadagna da vivere nella metropoli parigina sia con il taccheggio che con l'aiuto dei suoi due amici Solange (Clotilde Courau) e Ahmed (Sekkou Sall). Decide di lasciare alle spalle la sua dura vita e parte per andare alla ricerca di suo padre Jacques (Gérard Depardieu)... Tarda pellicola del genere cinéma vérité , dove l'astuzia carismatica della protagonista Paradis ci porta in una Parigi senza filtri: di giorno animata da mille sfumature delle persone che la popolano da quartieri in preda al degrado ed altri presi d'assalto da chi soffre di shopping compulsivo, di notte selvaggia. Incorniciata da un cast che sfrutta di frequente il suo linguaggio colorito per girovagare nella metropoli, per nulla chiassoso e interessante nella loro caratterizzazione (riuscita a metà), nella fotografia decolla per alcune sequenze in prima persona e nella desaturazione dei colori; soprattutto nella notte. Nel montaggio si segnalano longevi piani sequenza e nella musica anche la comparsa di Gainsbourg... Tralasciando alcune sequenze spinte come il mostrarsi a nudo di Paradis (autocitazione ad Adjani) e un'altra scena simile con un uomo di mezza età, rimane un onesto prodotto d'artigianato di quello che fu il cinema francese della vecchia scuola. Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • Se un genere europeo si fosse fuso con un altro simile? Tre casi particolari

    Cari spettatori del sito, bentornati al nostro appuntamento speciale con voi: oggi vorrei trattare con voi tre pellicole che presentano tracce di ben tre generi, allora in voga in tre nazioni europee. La risposta è il quartetto franco-italo-spagnolo-tedesco, che durante gli anni '70 erano gli assi del cinema di genere, di fronte a colossi come quello statunitense e britannico. Regia: Francisco Lara Polop Casa di produzione: Eva Film, Kalender Films International, Ogro, Paraguas Films S.A. "El Rata" viene scarcerato a seguito di una lunga permanenza a causa dei crimini "politici" commessi durante il periodo franchista: avendo scarse probabilità di trovare lavoro, casca di nuovo nel giro della criminalità... Se il poliziottesco si fosse fuso con il genere quinqui , ciò sarebbe stato il risultato. Analisi al carbonio di come era la Spagna durante la transizione democratica, colma di incertezze sia politiche (le roventi frecciatine del regista alla sinistra dell'epoca, senza filtri, sono degne di Petri) che economiche (tutt'oggi quasi del tutto immutate), rappresentate da una persona disperata in cerca di una nuova opportunità... esecuzione direttissima, montaggio al fulmicotone e musiche azzeccate per la Spagna dell'epoca. Regia: Marino Girolami (aka Franco Martinelli) Casa di produzione: Italian International Film, Les Productions Fox Europa A seguito di una rapina avvenuta in una villa, la polizia è sulle tracce di una banda che colpisce gli ambienti dell'alta borghesia romana: nella loro scia di violenza, ci ha lasciato la pelle la figlia dell'ingegnere Alessi (Anthony Steffen)... egli non si placherà fino a vendetta compiuta, assieme alle retate del commissario Carli (Marcel Bozzuffi). Il polar di Melville con il nostrano poliziottesco? Combinazione geniale! La capitale fa' da scenario, attivo, alle ore contate della banda e alla polizia che mette insieme i tasselli delle loro tracce. Bozzuffi è dalla parte della legge ed agisce, burocraticamente, assieme alla sua squadra più da forza speciale che da corpo di polizia; Steffen un uragano implacabile nel decimare i responsabili della morte di sua figlia. Fotografia che sfrutta di frequente la notte, atta a rappresentare le nefandezze compiute senza alcuna vergogna; montato scorrevolmente ed accompagnato dal trio Bixio-Frizzi-Tempera nell'abisso della criminalità. Regia: Duccio Tessari Casa di produzione: Lombard Films, Slogan Film, CCC-Filmkunst, Filmes Cinematografica L'investigatore Duca Lamberti (Frank Wolff) accoglie la richiesta d'indagine dal padre di una ragazza mentalmente instabile, scomparsa da giorni. Una volta trovata morta, si viene a scoprire che è stata costretta a prostituirsi... Quando il genere tedesco del krimi bussa alla porta dell'allora neonato genere poliziottesco, bisogna aspettarsi cose intense e indimenticabili. Come ne avevo già parlato in una mia recensione di molto tempo prima, Duccio dirige il tutto con una precisione clinica e senza filtri sull'allora nebbiosa società milanese... che nasconde giri spietati e macchiati di sangue. Frank impersona il personaggio del Lamberti ormai logorato della frenesia milanese, ma capace di combattere il crimine a modo suo e facendosi accompagnare dai suoi problemi di salute, assieme alla lucidità sarcastica di sua moglie... con una musica che dalle sue note jazz incamera lo squallore della malavita, assieme al colore naturale della fotografia e dal montaggio diretto. Quando un genere si fonde con un altro, vi è da aspettarsi applausi, oppure ribrezzo: l'importante è saperli scegliere e fonderli con generi simili tra di loro. Restate sintonizzati per il nostro prossimo appuntamento in tema. Avremo tanto da esplorare.

  • [Flopiziesco #30] Liquidazione (Payoff, 1979)

    Regia: Chung Gwok-Yan Sceneggiatura: Lin Chan-Wai Produttore: Raymond Chow Casa di produzione: Golden Harvest Paese di produzione: Hong Kong, Cina Coreografie: Lee Hang Fotografia: Cheung Tak-Wai Montaggio: Norman Wong Musiche: Frankie Chan --- Data di rilascio: 19 settembre 1979 E si ritorna a parlare di Chung, dove questa volta dirige un cast di completi sconosciuti: ad eccezione di Lau Dan, veterano della Shaw , e di altre decine di comparse. Girato sulla scia dello scandalo di Godber (chi conosce Ng See-Yuen e anche la dualogia di " Lee Rock " ha bene a mente lo stato della polizia hongkongese agli inizi degli anni '70...) e palesemente al risparmio, rimane una delle opere più oscure della casa di Bruce... Il sovrintendente Lee non ha freni nel divenire il boss della malavita di Hong Kong: assieme all'aiuto di Lam, convince il narcotrafficante Ng ( Lau Dan ) a collaborare alla sua ascesa. Di conseguenza, Ng dirotta nella baia del porto una nave carica di stupefacenti per la banda dei fratelli Ma. Una volta esplosa la guerra tra bande, Lee costringe Ma a ritirarsi dal giro ed a favorire l'espansione di Ng nel gioco d'azzardo... ma quando i suoi uomini cercano di detronizzare il casinò di Kam, protetto da un corpo speciale di polizia, l'escalation è inevitabile... Mediocre poliziesco che prova numerose volte la commistione con il documentaristico, sfortunatamente non riuscita a causa della sceneggiatura stereotipata del genere e sbrigativa. Nemmeno le bravate delle triadi ci aiutano a salvare il film, in quanto non portano nulla di nuovo sul tavolo della coreografia. Colonna sonora, fotografia e montaggio inclusi... anche l'ambientazione nel passato del film (1973) è riuscita a metà, dati i modelli d'auto incompatibili... e sono stato anche esaustivo. Comunque, in quanto a imbarazzo, lo " 0.38 " (1980) di Chung è ancora imbattuto... fortunatamente questo film non arriva nemmeno con il telescopio a tali livelli. Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • Nel Sangue (In the Blood, 1988)

    Regia: Corey Yuen Sceneggiatura: Yuen Kai-Chi Produttore: Wu Ma Casa di produzione: D&B Films Co. LTD, Bo Ho Films Co. LTD Paese di produzione: Hong Kong, Cina Coreografie: Mang Hoi, Chin Ka-Lok, Yuen Wah Fotografia: Tom Lau Montaggio: Peter Cheung, Sek Chi-Kong Musiche: Chris Babida Trucco: Man Yu-Ling Costumi: Leung Yuk-Chan --- Data di rilascio: 22 luglio 1988 Incasso: 6,804,354 dollari (797.577 euro) Sfortunatamente passato a miglior vita nel 2022 a causa della pandemia e solamente giorni prima è stata diramata la tragica notizia dal suo collega ed amico Jackie , Corey lo voglio ricordare con questo oscuro poliziesco: se Sammo e Richard appaiono per pochi secondi, la formula drammatica/slapstick alla Wong Jing è garantita. Inutile che riassuma la sua fruttuosa carriera, se cercate sul dizionario la parola "pirotecnico" compare il suo nome. I due poliziotti Dan (Corey Yuen) e Wah (Andy Lau) sono in cattive acque per la loro pessima carriera, per poi venire sospesi dal servizio: i loro genitori faranno di tutto per riportarli a lavoro, ma in particolare Dan non ha idea che il fidanzato di Tze (Hsiao Hung-Mei) è a capo di una banda di narcotrafficanti... Esplosivo poliziesco che si perde con gli intermezzi comici, un po' datati, della burocrazia di epoca britannica e di alcune falle ingenue nella polizia; fortunatamente ciò non intacca le stellari scene d'azione, eseguite senza alcun intoppo. Cascatori che si buttano qua e là nei modi più disparati, coreografie prossime alla perfezione che innestano la suspense più intensa. E se le coreografie sono un toccasana per gli occhi, anche la fotografia lo è: sfrutta continuamente il chiaroscuro e il controluce sempre in ambito notturno, per indicare il destino nefasto di uno dei due protagonisti... e la nostalgia del padre di Corey per i tempi andati. Babida completa il tutto con un omaggio a modo suo al jazz, soprattutto suonato dal vivo da parte di Wu Ma: montato anche a dovere. Passabile prodotto che meriterebbe una riscoperta per le sue scene d'azione, ma nel resto viene purtroppo rovinato dall'eccessivo melodramma nei confronti di Andy e Corey... Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • African Story (1971)

    Regia: Marino Girolami (aka Fred Wilson) Soggetto: Ralph Anders Sceneggiatura: Ralph Anders, Mike Conda, Eugene Walter Produttore: Stanley Norman Produttore Associato: Ralph Anders Casa di produzione: Atlantic Film Productions, Sirio Film Paese di produzione: Italia Fotografia: Mario Fioretti Montaggio: Franca Silvi Musiche: Francesco De Masi Scenografia: Rudolf Andreas Trucco: Susannah Davies, Renzo Francioni --- Data di rilascio: 21 ottobre 1971 Una delle pellicole più oscure di Girolami, tutt'oggi inedita in DVD. In tre decadi fu letteralmente prolifico nell'ormai defunto cinema di genere italico, tanto da aiutare nel decollo di alcune future stelle come Maurizio Merli nel poliziottesco di maggiore successo commerciale in assoluto (" Roma Violenta ", 1975). Si segnala anche che fu un abile pugile e lasciò la carriera già all'età di 20 anni: laureato in fisioterapia, diede i natali ad altre due leggende riconosciutissime... il Castellari e l'attore Ennio. Fratello maggiore di Romolo Guerrieri, nel corso di entrambe le loro carriere si diedero una mano... lui come assistente alla regia in quelli di Marino. Il cantante Rex Maynard (Michael Kirner), dopo avere inciso una sua canzone, decide di partire per le vacanze assieme alla figlia del produttore Arnold Tiller (Stephen Boyd)... nonostante la sua ferma disapprovazione. Deciso il tutto in segreto, in Sudafrica vengono sorpresi da un gruppo di sequestratori che agiscono per ordini di Tiller, ma la situazione precipita quando loro cominciano a stancarsi per il suo trattamento... Piacevole disavventura al retrogusto di giallo, che nel primo tempo si perde nel romantico e nel fare pubblicità alle locations sudafricane, ma nel secondo ingrana la marcia e si inizia a vedere qualcosa di serio come le acrobazie di Michael e quelle in auto. In sintesi è una vendetta finita male per via dell'iperprotettività di Stephen, ma al sapore aspro sia per l'esecuzione che per la sceneggiatura. Da cartolina la fotografia, montaggio nella norma e musiche che rendono digeribile il tutto, perfette per incorniciare il film nel genere dell'avventura. Nel complesso, un prodotto tutto sommato passabile e memorabile più per il Sudafrica di inizio anni '70, che per le disavventure di Michael... Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • Sole, Fieno, Fragole (Slunce, Seno, Jahody: 1984)

    Regia: Zdenek Troska Sceneggiatura: Zdenek Troska, Petr Markov Casa di produzione: Filmové Studio Barrandov Fotografia: Josef Hanus Montaggio: Eva Bobkova Musiche: Karel Vagner Trucco: Frantisek Cizek Costumi: Marie Frankova --- Data di rilascio: 1° settembre 1984 Inizio di una trilogia di enorme successo nella ex-Cecoslovacchia, dove il regista non solo dirige a casa propria ( Hostice , nella Boemia Meridionale), ma riuscì definitivamente a decollare con la sua carriera appena iniziata nel 1979: nel film a episodi " How a Man Gives Birth ". Controverso per i suoi films a basso costo, tanto avversi alla critica ma notevolmente profittevoli nei cinema, come nel genere fiabesco; un esempio sopra tutti è " Princess Jasnenka and The Flying Shoemaker " (1987). Riuscì anche ad attirare i riflettori della polizia nel 2002 con il kolossal di " Angelic Face ", dove il produttore Jiri Pomeje si fece prestare denaro dal fondo statale della Repubblica Ceca per lo sviluppo del cinema... il film fu un fiasco e Jiri non riuscì a ripagare i debiti: sotto inchiesta per frode finanziaria. Lascia definitivamente il mondo del cinema nel 2020 con il fiabesco " Enchanted Feather ". Lo studente Simon (Pavel Kikincuk), dopo un movimentato viaggio, approda in un villaggio dell'entroterra cecoslovacco: il suo obiettivo è dimostrare che le mucche possono produrre più latte, ascoltando musiche che possano stimolarle. Presto il villaggio entra in subbuglio ed il governo vuole sapere dell'invenzione di Simon... Divertente istantanea della vita tradizionale dei villaggi isolati nell'allora Cecoslovacchia, dove la natura impera su tutto e ricambia con panorami da cartolina, popolate da persone che passano il loro tempo nei modi più disparati e creativi. Tra queste vi è la nonna degli abitanti che ospitano Pavel, capace di usare il suo letto come un auto improvvisata ed una cantante che si esibisce dalla sua finestra, sia felice che non; con i colori della fotografia lasciati al naturale, è sinfonia per gli occhi che per le orecchie: musica all'essenziale. Montaggio che non crea problemi, nemmeno per la trama trasparente. Antidepressivo da consigliare per qualsiasi cineterapista. Ed è probabile che consiglierò il film anche a chi vorrebbe andare in vacanza in un luogo molto diverso, soprattutto ad agosto inoltrato. Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • L'Addio di un Giocatore d'Azzardo (Bakuto Kaisan-shiki, 1968)

    Regia: Kinji Fukasaku Soggetto: Fumio Konami, Norio Osada (aka Norio Nagata) Sceneggiatura: Fumio Kanpa, Norio Nagata Produttore: Koji Shundo, Hisashi Yabe Casa di produzione: Toei Paese di produzione: Giappone Distribuzione: Toei Fotografia: Ichiro Hoshijima Montaggio: Osamu Tanaka Musiche: Isao Tomita --- Data di rilascio: 9 febbraio 1968 E' già stato detto che il Fukasaku pre- jitsuroku eiga aveva delle opere notevolmente interessanti? Avendo già parlato tempo prima della banda di ricattatori che si erano condannati a morte per avere messo le mani sui soci in affari di un boss della yakuza (uscito nello stesso anno), è un viaggio che vi consiglio di fare: scoprirete come ci è arrivato a rivoluzionare sia il cinema d'azione che gli yakuza eiga nel Sol Levante. Oltre a lui, nel proto-genere ci hanno lavorato abbondantemente futuri registi blockbuster come Jun'ya Sato e Yasuharu Hasebe... trattasi del terzo capitolo della saga cinematografica dei giocatori d'azzardo a sfondo yakuza, assicuratevi anche di non perdere gli altri quattro films (che andrò a recuperare!). Toru Kuroki (Koji Tsuruta) viene rilasciato dopo otto anni al fresco, per poi scoprire che il capo della polizia ha dichiarato guerra alla yakuza della sua prefettura. Il suo boss, per mantenere unita la famiglia, lo mette a capo della sua azienda di trasporti; Karasawa (Fumio Watanabe), da tempo separatosi dalla famiglia e divenuto uomo d'affari, cerca di minare l'azienda e costringe Kuroki a voler lavorare con lui... innescando tensioni con gli operai... Canto del cigno del genere ninkyo eiga , degno di rappresentare un sottomondo prossimo all'implosione per via del rapido cambiamento di un'epoca di per sé turbolenta... che non risparmia nessuno. La colonna sonora e le inquadrature da neo-noir immortalano il destino, nefasto, di uno yakuza ancorato ai suoi ideali, oramai obsoleti. Anche il montaggio diretto e senza intoppi aiuta la visione, amara, della pellicola. In ambito fotografico si distingue per i colori spenti, desaturati, atti a dimostrare il grigiume delle grandi corporazioni nate dalle yakuza... Breve guida ai proto- jitsuroku eiga : Koji Tsuruta era la stella degna di rappresentarli. Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • Ieri, Oggi, Domani (Yesterday, Today, Tomorrow: 1970)

    Regia: Patrick Lung Kong Sceneggiatura: Patrick Lung Kong Produttore: Wu Jung-Hua Casa di produzione: Eng Wah & Co. LTD Paese di produzione: Hong Kong, Cina Fotografia: Wong Ming Montaggio: Cheng Keung Musiche: Lau Wang-Yuen Trucco: Lee Nam --- Data di rilascio: 10 dicembre 1970 Notevole trasposizione sul grande schermo del romanzo " Plague " (1947) di Albert Camus, nonché il primo film in mandarino di Lung Kong, pesantemente censurato per via dei riferimenti alle proteste pro-Pechino del 1967 e soltanto di recente è emerso dall'ombra per via della pandemia (assieme a un altro notevole film di Fleischmann del 1979), tanto da finire nella lista dei " 100 Must-See HK Movies " nel 2011. Trattasi di uno dei films più importanti della carriera del regista e del porto in generale, nel cast vanta la presenza del giovane Paul Chu Kong che in futuro diverrà uno dei sicari di quell'assassino di Woo nel 1989 e del volto familiare di Kenneth Tsang Kong, con la carriera già decollata nello scorso decennio assieme a Connie Chan e Josephine Siao... Nella metropoli di Hong Kong è in atto un invasione di ratti infetti: dopo i primi contagi, il governo sottovaluta l'epidemia e la stampa diffonde la notizia. Una volta che il panico si scatena, il governo allestisce una zona apposita per la quarantena... ma non riesce ancora ad individuare una cura per il virus... Come il titolo del film: ieri era accaduto, oggi può accadere e domani può avvenire di nuovo... ma se una risposta non è efficace, ahimè i morti fuggono. L'atmosfera cupa e tetra del film ne è la dimostrazione, assieme alla escalation epidemica scatenata dalla stampa e dal panico. Fotografia che prova a risollevare il tutto con degli ottimi panorami di Hong Kong, anche di notte, usando delle lenti quadrangolari per dare l'idea di essere non così distanti dal climax hongkongese. Se nel montaggio sono evidenti i tagli censurati, sono ben congegnati nelle scene emotivamente pesanti. La musica? Perfetta per un horror, perfetta per il clima irrespirabile del film. Dato che non ho trovato una soundtrack inerente al film, godetevi il "Moon Time" di Dudley Moore... è la colonna sonora introduttiva alla sua finestra del 1968. Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • Mai Arrendersi (Yasei no Shomei, 1978)

    Regia: Junya Sato Soggetto: Seiichi Morimura Sceneggiatura: Koji Takada Produttore: Masaya Endo, Haruki Kadokawa, Fumio Matsuda, Sunao Sakagami, Simon Tse Casa di produzione: Kadokawa Productions Paese di produzione: Giappone Distribuzione: Nippon Herald Films, Toei Fotografia: Shinsaku Himeda Montaggio: Jun Nabeshima Musiche: Yuji Ohno --- Data di rilascio: 7 ottobre 1978 Ho già accennato nel vecchio blog il suo famosissimo film con Yusaku Matsuda , uscito l'anno precedente, ma non ho mai scritto una biografia riassuntiva su Sato... procediamo: entra alla Toei nel 1956 e inizia a lavorare come assistente di registi come Tadashi Imai e Miyoji Ieki . Esordisce alla regia nel 1963 con " Rikugun Zangyaku Monogatari " e da allora si specializza negli yakuza eiga , anticipando anche i jitsuroku alla Fukasaku già nella seconda metà degli anni '60. Dopo il rilascio di " The Bullet Train " nel 1975, che in patria fu un fiasco ma all'estero un colossale successo, da allora si getta a capofitto nel dirigere films dall'enorme budget: ciò gli valse il soprannome di " Mr. Blockbuster " nel Sol Levante. Lascia il mondo del cinema nel 2010 con il kolossal jidaigeki di " The Sakuradamon Incident " e passa a miglior vita nel 2019 all'età di 86 anni. Suo figlio, Toya Sato, è anch'esso un regista. L'agente delle forze speciali Takeshi Ajisawa (Ken Takakura), a seguito del violento sterminio di un villaggio commesso da lui stesso, decide di lasciare il corpo e diviene un assicuratore. Una sera nota che un gruppo di motociclisti cerca di assaltare Tomoko (Ryoko Nakano), la difende e da allora conosce l'unica sopravvissuta del villaggio Yoriko Nagai (Hiroko Yakushimaru): minacciati dal clan Ohba, che a sua volta è legato a doppio filo con le forze speciali, Ajisawa dovrà fare i conti con il suo passato... Violento kolossal, privo di speranza per i tre protagonisti e dal messaggio che inquietantemente è rimasto immutato sino ai giorni nostri: cosa può accadere se una potente famiglia tiene sotto scacco una nazione? La risposta è già scritta, con il sangue, nel film e... ahimè, nella vita reale per chi prova ad esporre i loro corrotti affari. Tralasciando questo alone pesante sulla loro storia, la quantità di mezzi dispiegati per il film è davvero notevole. Supera tranquillamente i livelli hollywoodiani sia in termini esplosivi che di acrobazie da cardiopalma, anche grazie alla struggente fotografia con molteplici scene insanguinate alla moviola e dai colori in contrasto con le ombre circostanti (Wong Kar-Wai, dove sei?). Se la fotografia è struggente, la musica di Yuji completa la cornice nelle scene forti a un passo dallo splatter ... e credo chi abbia montato il tutto sia rimasto sconvolto a vita da ciò che vide sia nelle scene salvate che scartate... personalmente è uno shock movie da vedere una volta e basta: solo la prima basta per un trauma! Sconsigliato a chi è ghiotto di Maalox, consigliato a chi ha uno stomaco di titanio. Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • Il Quarto Protocollo (The Fourth Protocol, 1987)

    Regia: John Mackenzie Sceneggiatura: George Axelrod, Richard Burridge, Frederick Forsyth Produttore: Timothy Burrill Produttore Esecutivo: Michael Caine, Frederick Forsyth, Wafic Said Casa di produzione: Fourth Protocol, The Rank Organisation Distribuzione: Rank Film Distributions Coreografie: Eddie Stacey (coordinatore), Marc Wolff (pilota) Fotografia: Phil Meheux Montaggio: Graham Walker Musiche: Lalo Schifrin Trucco: Elaine Bowerbank (parrucchiera), Lois Burwell (capo della sezione make-up), Paula Gillespie (capo della sezione parrucchieri), Peter Robb-King (truccatore) Costumi: Tiny Nicholls --- Data di rilascio: 19 marzo 1987 (prémiere a Londra) Di ritorno dal no-sense di quel console in Paraguay, qui Mackenzie riprende Caine ed alza la posta in gioco con altre stelle come Pierce Brosnan in uno spionistico girato al di fuori dei Pinewood Studios... sarà stato capace? Lo scopriremo a breve. Kim Philby (Michael Bilton), spia britannica che aveva disertato in URSS, è a capo di un progetto sovietico denominato "Aurora": ossia il disgregare il quarto ed ultimo protocollo della non proliferazione nucleare del 1968. Per farlo, mandano in missione l'agente Petrovsky (Pierce Brosnan) in una tranquilla cittadina di campagna a pochi metri di distanza da un aeroporto militare, con lo scopo di costruire un ordigno nucleare... spetterà all'agente John Preston (Michael Caine) fermare la minaccia assieme ai suoi riluttanti superiori dell'MI5. Eccellente spionistico colmo di tensione e di sangue, ma sfortunatamente rovinato dal finale sbrigativo. Caine superlativo come sempre tra il suo british humor ed i trucchi del mestiere, che se la gioca con un Brosnan ligio al dovere e spietato esecutore... in un film ben calibrato tra l'azione e capace di accontentare anche i più novelli del genere, montato egregiamente e dalla fotografia arricchita di primi piani e vedute panoramiche della campagna britannica (anche di sera!). Colonna sonora che accompagna il prodotto, già preconfezionato ma da un budget di notevole livello sia di locations che di veicoli usati (la Ford Escort XR3i blu di Brosnan e la Rover SD1 nera del collega di Caine sono da antologia). Anche la corsa contro il tempo aiuta nella visione del film, soprattutto verso la seconda metà... Restate sintonizzati con la vostra radio dal segnale criptato... arriveranno altre informazioni cinematografiche top-secret su films di tale genere! Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • [Azionerrore #8] Il Console Onorario (The Honorary Consul, 1983)

    Regia: John Mackenzie Soggetto: Graham Geene Sceneggiatura: Christopher Hampton Produttore: Norma Heyman, Richard F. Dalton (associato) Casa di produzione: World Film Services, Parsons & Whittemore Lyddon LTD, Estudios Churubusco Azteca S.A. Paese di produzione: Regno Unito Distribuzione: Paramount Pictures, Fox-Rank Coreografie: Buddy Joe Hooker Fotografia: Phil Meheux Montaggio: Stuart Baird Musiche: Stanley Myers Trucco: Nick Dudman, Tony Lloyd, Mike Lockley (parrucchiere) --- Data di rilascio negli USA: 30 settembre 1983 Data di rilascio nello UK: 6 dicembre 1983 Oltre il limite? Sì, qui abbiamo superato anche i limiti dell'incomprensibilità! Ma prima di eruttare contro il film, è necessario dire che John Mackenzie era un volto noto nel cinema anglo-americano: inizia a lavorare come assistente alla regia di Ken Loach nel quarto episodio della terza stagione di " The Wednesday Play " del 1965, intitolato " Up the Junction ". Dopo il " Cathy Come Home " dell'anno seguente, inizia a intraprendere la strada di Loach, dirigendo episodi per " The Jazz Age " e per " ITV Saturday Night Theatre ". Riesce ad emergere nel 1969 con il film per la televisione " There is Also Tomorrow ", e riesce a divenire indipendente dopo l'enorme successo di " A Sense of Freedom " (1979). Con l'arrivo di " The Long Good Friday " (1980) si trasferisce negli USA e gira altri capolavori come " The Fourth Protocol " (1987) e " Ruby " (1992), per poi tornare nello UK intorno al 1993. Lascia il mondo del cinema nel 2003 con " Quicksand " e passa a miglior vita nel 2011 all'età di 83 anni. Il dottore Eduardo Plarr (Richard Gere), metà inglese e metà latinoamericano, è talmente indaffarato nel suo mestiere che incontra per puro caso il perennemente ubriaco Charley Fortnum (Michael Caine) e la prostituta Clara (Elpidia Carrillo), dove attirerà il cuore di Plarr... ma finirà nelle mani di Charley. Siccome non bastava la repressione dell'esercito paraguaiano nei confronti dei loro oppositori, si aggiungerà un gruppo di amici che vuole a tutti i costi rapire l'ambasciatore americano per portare alla fine della dittatura in Paraguay. Purtroppo rapiscono Charley e la situazione si complicherà ulteriormente... Insapore. Il primo tempo è colmo del nulla cosmico che pervade la pellicola, cercando di mantenere la nostra attenzione sul triangolo amoroso di Elpidia; nel secondo accade finalmente qualcosa ed ingrana la marcia sul genere di guerra ed effettua ciò che doveva fare sin dall'inizio, farci capire che il clima della nazione era irrespirabile. Ma in questo caso è il film che ha bisogno di ossigeno... soprattutto nella sceneggiatura. Dove la fotografia fa' un ottimo lavoro nel finale, con la pioggia scrosciante sull'indifferenza dell'esercito e sulla notte tenebrosa all'inizio, con un montaggio che lascia a desiderare. Musiche per nulla fastidiose, ma capaci di dare il timbro cupo e pensieroso al film. Alla fine, la domanda è spontanea: ma il film stesso dove è finito, per tutta la sua durata? Non si è fatto vedere per la vergogna? Oppure perché il tutto è un'impalcatura che copre il messaggio di base? Mi dispiace che una leggenda come Caine sia finita in questa sgradevole parentesi di Mackenzie, ma alla fine passerà al culto per le bottiglie di whisky che si è sgolato tranquillamente nel covo dei rivoltosi... Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • Sapore Amaro del Sangue (Bitter Taste of Blood, 1988)

    Regia: Albert Lai Soggetto: Albert Lai, David Wu Dai-Wai Sceneggiatura: David Wu Dai-Wai Distribuzione: Golden Harvest Coreografie: Phillip Ko Fei Fotografia: Jimmy Leung Montaggio: David Wu Dai-Wai Trucco: Chow Man-Kuen --- Data di rilascio: 24 novembre 1988 Incasso: 1,032,028 dollari (120.970 euro) Una delle presenze oscure del cinema hongkongese che lo ha animato per anni, assieme ad altri artigiani come Taylor Wong e Tony Lou . Di quel poco che si conosce su di lui è documentato su HKMDB : esordisce come attore nel gongfupian taiwanese di " Seven Man of Kung-Fu " nel 1978, per poi intraprendere la carriera di regista pochi anni dopo nel 1982 con " Young Dreams ". Per i cultori è noto, non in maniera positiva, per il ruolo dell'ufficiale di polizia corrotto nel " Magic Crystal " (1986) di Wong Jing. Nella sua longeva carriera ha lavorato parecchio nei suoi films, soprattutto per sceneggiarli e produrli. Lascia il mondo del cinema nel 1994 con " My Friend Roy ", prodotto da lui stesso che dal suo amico Jing. Un gangster, a seguito di una rapina a mano armata finita male e braccato dalla triade in cui militava, decide di cambiare vita ed emigra in un'isola remota di Hong Kong: trova lavoro come giardiniere e si innamora di una ragazza, nonostante lo scetticismo della sua famiglia. Ma la triade non demorde nella sua vendetta... Mediocre triad movie che però è diretto incredibilmente bene, nonostante la trama scontata e l'interpretazione insipida dei personaggi. La sensazione del futuro nefasto del protagonista è ben radicata nel film, anche grazie al flashback riassuntivo. Spedite e senza intoppi le coreografie, ridotte all'essenziale ma creative. E come da tradizione degli heroic bloodshed , non può mancare il finale tragico e insanguinato... accompagnato da una fotografia tetra e tenebrosa, tale e quale al passato di Kent. Come abbiamo visto nelle coreografie, il montaggio si velocizza e diventa scorrevole... ma non nelle scene sull'isola remota (ad eccezione di una scazzottata). Musiche da Prozac, che ci tengono in attesa dello scontro finale tra Kent e la banda. La cabina telefonica sul porticciolo dell'isola remota è da cartolina... Ecco il perché nel più mediocre dei triad movies vi è sempre qualcosa da salvare... i cultori ringraziano! Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • Foxbat (1977)

    Regia: Leung Po-Chi Sceneggiatura: Leung Po-Chi, Phillip Chan, Terence Young Produttore: Jimmy Yip Casa di produzione: Bang! Bang! Films Paese di produzione: Hong Kong, Cina Distribuzione: Golden Harvest Coreografie: Huang Pei-Chih Fotografia: Johnny Koo, Kenneth Talbot, Tony Hope, Yu Gwan-Wing Montaggio: Raymond Poulton Musiche: Roy Budd --- Data di rilascio: 15 dicembre 1977 Pietra miliare della New Wave hongkongese, diretta da un Leung al suo secondo lavoro come regista. Se siete amanti del genere poliziottesco, sarete contenti di sapere che una stella del filone sia protagonista in questo thriller internazionale: Henry Silva. Nel cast vedrete anche delle future stelle del cinema portuale come Melvin Wong e Phillip Chan, assieme al prolifico attore Roy Chiao Hung, che purtroppo ci ha lasciati all'indomani del terzo millennio. Tratto da una storia vera, avvenuta un anno prima del film, dove il sovietico Viktor Belenko disertò da una esercitazione aerea da Vladivostok ed atterrò con il suo caccia (per miracolo!) all'aeroporto di Hakodate in Giappone. L'agente della CIA Michael Saxon (Henry Silva) riceve la clamorosa notizia dell'atterraggio di un MiG-25 "Foxbat" all'aeroporto di Hakodate in Giappone: sul posto giungono i sovietici per tentare di eliminare il commissario, ma il tutto viene sventato da Saxon. Quest'ultimo acquisisce i dati meccanici del caccia dalla sua macchina fotografica a forma di occhio, ma i sovietici non demordono e tentano di assassinarlo con l'aiuto di un lottatore di sumo. Sventato anch'esso, vola a Hong Kong e si ritrova con il cuoco Zhang (James Yi Lui), in una villa a trattare di diamanti con i sovietici; Zhang inghiotte la pastiglia dove è situato il microfilm di Saxon... inizia un'intensa caccia all'uomo. Guazzabuglio esplosivo che si intreccia con la realtà di allora, dove bastava un movimento falso tra i due blocchi e le tensioni raggiungevano il loro apogeo. Nonostante gli enormi problemi con la sceneggiatura per via delle casualità forzate, il subbuglio dei sovietici per il microfilm (nonostante i dati tecnici siano in mano alla CIA) e l'indifferenza della polizia hongkongese in tutto ciò, la pellicola è tremendamente memorabile nel suo voler essere presa sia sul serio e sul ridere. Il panorama della megalopoli di Hong Kong è ben catturato dalla fotografia, che la immortala in costante crescita assieme alla tradizione locale che non vuole essere inghiottita dal cemento, ben claustrofobicamente illustrata sia dalle scene d'azione che dalle disavventure di James. Il montaggio? Manca di velocità nella versione export, ma in quella originale è una goduria per gli occhi. Come per la musica, che parzialmente riesce a venirci incontro nel voler tifare per la salvezza di James e per il coraggio di Silva. Se James e Silva si fossero aperti un'agenzia investigativa dopo le vicende a Hong Kong, di sicuro la CIA li avrebbe assunti come agenti d'élite. Se la prossima volta riuscite a vedere nei cieli un MiG come quello di Viktor, salutatelo egregiamente da parte mia e da parte di noi cinefili! Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • La Morte Cammina con i Tacchi Alti (1971)

    Regia: Luciano Ercoli Soggetto: Ernesto Gastaldi, Mahnahén Velasco Sceneggiatura: Ernesto Gastaldi, Mahnahén Velasco, Manuel Velasco, Dino Verde Produttore: José Frade Casa di produzione: Atlantida Films, Cinecompany Distribuzione: Cineriz Fotografia: Fernando Arribas Montaggio: Angelo Curi Musiche: Stelvio Cipriani Costumi: Osanna Guardini Trucco: Franco Di Girolamo --- Data di rilascio in Italia: 30 novembre 1971 Data di rilascio in Spagna: 2 aprile 1972 Seconda pellicola da regista di Luciano Ercoli, volto noto del giallo all'italiana. Avendolo già citato tre anni prima nel mio vecchio blog, senza descriverlo approfonditamente, è obbligatorio un riassunto a modo mio... inizia a lavorare nel mondo del cinema come secondo aiuto regista nel 1953 con " Capitan Fantasma ", per poi divenire un attivo produttore di numerosi films per tutti gli anni '60 (si segnala lo spionistico " Kiss Kiss... Bang Bang ", datato 1966). Esordisce alla regia nel 1970 con il giallo " Le Foto Proibite di una Signora per Bene ", dove ne cura il montaggio che la produzione. Sposato con l'attrice spagnola Nieves Navarro (qui con lo pseudonimo di "Susan Scott"), diverrà anche lei il marchio di fabbrica dei films diretti e prodotti da Ercoli (western inclusi!). A metà degli anni '70 passa al poliziottesco, girando " La Polizia ha le Mani Legate " (1975) con Claudio Cassinelli; e nel 1977 dirige il suo ultimo film, intitolato " La Bidonata ", che ebbe dei problemi con la distribuzione per via del rapimento del produttore Niccolò De Nora: uscì nelle sale solo nel maggio del 1978, a distanza di un mese dal rilascio di Nora, per poi rimanere quasi invisibile per ben 30 anni. Trasmesso negli anni '80 da reti televisive private, il film venne ritrovato e poi rilasciato in DVD nel 2006 dalla NoShame . Passa a miglior vita nel 2015 all'età di 85 anni. Nel vagone di un treno viene assassinato un ladro di gioielli: a Parigi viene subito interrogata la figlia Nicole Rochard (Nieves Navarro), ma senza alcun risultato. Poco tempo dopo irrompe a casa sua un malintenzionato dal volto coperto che chiede dove siano i diamanti, minacciando di ritornare... credendo che il colpevole sia il suo fidanzato Michel (Simon Andreau), decide di fuggire in Inghilterra assieme al medico Robert Matthews (Frank Wolff). Una volta giunti sull'isola, lei scompare e la polizia viene chiamata ad investigare... assieme a Michel. Interessante giallo colmo di colpi di scena e sdrammatizzazioni dai due agenti di Scotland Yard, che rendono il secondo tempo del film piacevole da visionare nonostante l'inevitabile spargimento di sangue da slasher movie alla Mario Bava. Da antologia le locations e le musiche di Cipriani, che ci prepareranno alla sete di verità nella seconda parte. Esperienza arricchita da una fotografia che userà frequentemente il flashback per infittire il mistero, dai colori vivaci del guardaroba di Nieves e delle locations; non delude il montaggio nelle scene chiave. Nel complesso un'opera che nella sceneggiatura poco plausibile (la poca attenzione della polizia inglese ai sospettati, il fidarsi ciecamente di un uomo sconosciuto per sfuggire al fidanzato, etc...) riesce a fare delle interpretazioni dei personaggi il suo punto forte, variegati e insoliti per un giallo. Tacchi alti? No, grazie: meglio i tacchi normali e privi di qualsiasi instabilità, come il giallo. Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • Il Tiratore (The Shootist, 1989)

    Regia: Haruo Ichikura Sceneggiatura: Yoshiro Oka Produttore: Ryoji Ito, Tatsuro Shibagaki Casa di produzione: Toei Video Company Fotografia: Masaru Mori Montaggio: Shinji Yamada Musiche: Yuji Ohno --- Data di rilascio in videocassetta: 17 agosto 1989 Prima parte della quadrilogia interamente dedicata alla stella del piccolo schermo Toru Nakamura, che nella serie poliziesca di " Abunai Deka " (1986-87) ebbe il decollo della sua carriera, appena cominciata, nel mondo dello spettacolo nipponico. Esordisce nel 1985 con il live action dedicato al manga di " Be-Bop High School " e comincia a lavorare a 360 gradi nel cinema asiatico: passa dal " Blue Tiger " (1994) di produzione statunitense al " Tokyo Raiders " (2000) hongkongese, non senza prima dare uno sguardo alla Corea del Sud con il mezzo kolossal storico di " 2009: Lost Memories " (2002). Tutt'oggi attivo, è apparso 133 volte tra serie televisive e films. Non si può dire lo stesso di Ichikura, dove veniamo a sapere che prima del suo esordio come regista lavorò come assistente alla regia per il " Time of Wickedness " (1985) di Furuhata e per un film alla TV di Murakawa , per poi esordire alla regia nella serie dei detectives pericolosi: ne dirige anche un film nel 1988 e prosegue la saga dei live actions dedicati a Be-Bop. Si ritira nel 2008 con il jidaigeki di " The 7 Sword Fights ". L'ex-agente di polizia Matsushita Hiroshi (Toru Nakamura) si guadagna da vivere lavorando come sicario. Sempre efficiente nel colpire i bersagli, questa volta avrà da fare con un uomo più protetto di quanto sembri. Inclusa una donna che gli ronza intorno... Un hitman movie dove si spara per sole tre volte: all'inizio, nel mezzo e nel finale. Insolito per il genere, dove in questo caso la tensione svolge egregiamente il suo lavoro in tutta la durata del film, anche nelle scene dove sembra che accada qualcosa... ma l'attesa verrà ricompensata per la quantità di sangue e per la fotografia dai colori pastello. Quando Toru comincerà a fuggire, il montaggio farà lo stesso con lui, veloce e ritmico. Scommetto che Yuji, nel comporre la colonna sonora del film, abbia ricordato in lacrime di gioia i tempi gloriosi dello Shohei Narumi che conosciamo bene. Avventuroso, dal guardaroba iconico (che dagli occhiali da sole gialli omaggia l'Hiroshi Tachi della serie cult...) e dalla sceneggiatura adattata da un altro film del genere , che nel 1968 passò anche in Italia. E' inutile che lo esclamo: la curiosità mi incita a vedere il resto della saga. Speriamo di vedere gli altri tre films, perché Toru promette bene nel suo ruolo... Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • La Trilogia di Onomichi (1982-85) | Come ricordare con stile la propria città natale

    Cari spettatori del sito, benvenuti al nostro primo appuntamento speciale con voi in questa nuova sede: finalmente ho l'occasione di parlarvi di Nobuhiko Obayashi. Noto in patria per i suoi messaggi contro la guerra e per le sue pellicole stilisticamente all'avanguardia, ha continuato a girare fino alla sua morte avvenuta nel 2020. Letteralmente un'artista a tutto tondo non solo in ambito cinematografico, ma anche nel disegno e nel suonare il pianoforte. Chi era Nobuhiko Obayashi? Nato nel 1938 a Onomichi, nella prefettura di Hiroshima, suo padre venne chiamato al fronte durante la WW2 e fu cresciuto dai nonni. Durante la sua infanzia si appassiona al disegno, alla scrittura, al pianoforte e al cinema: fu questa passione che lo spinse a dirigere il suo primo cortometraggio all'età di 6 anni nel 1944, ossia " Popeye's Treasure Island ". Dopo la conclusione della WW2 inizia a studiare per divenire medico, ma alla fine cambia idea e nel 1956 viene ammesso nella sezione artistica dell'Università di Seijo, scelta che gli permise di continuare a girare cortometraggi. In seguito fonda un gruppo composto da registi sperimentali, denominato " Film Independent ". Lasciata l'università, l'agenzia Dentsu contatta Obayashi per offrirgli un impiego come pubblicista; accettata l'offerta, negli anni '70 si guadagna da vivere con spot pubblicitari all'avanguardia con volti notissimi come Charles Bronson e Catherine Deneuve, realizzandone ben 3.000 fino al suo esordio sul grande schermo con la commedia horror di " House " nel 1977: gli valse il premio di "miglior nuovo regista" ai Blue Ribbon Awards. Negli anni '80 incomincia a divenire noto al pubblico nipponico per i suoi coming of age drama e per cimentarsi nel genere romantico. Due decenni dopo, nel 2016 gli viene diagnosticato un cancro in fase terminale ai polmoni e decide di girare un film rimasto in un limbo per oltre 40 anni: " Hanagatami ", terza parte di una trilogia contro la guerra. Nel 2019 gira e monta il suo ultimo film, " Labyrinth of Cinema ", mentre era in cura per il cancro. Passa a miglior vita il 10 aprile del 2020, all'età di 82 anni. Io Sono Te, Tu Sei Me (Tenkosei, 1982) Kazuo (Toshinori Omi) e Kazumi (Satomi Kobayashi) sono due studenti di prima media che appena conosciuti, ruzzolano entrambi giù dalle scale di un tempio e si accorgono che i loro corpi sono stati scambiati: seguirà una esilarante avventura sulle loro vite sia a scuola che a casa. Piacevole disavventura tra due scolari che nei loro corpi diversi, iniziano a comprendere la silenziosa crudeltà della vita matura. Con la città di Onomichi che fa' da sfondo alle loro vicende sia amare che esilaranti, incorniciato da una fotografia in B/N degna di Yoshishige all'inizio che al finale, con un colore al massimo dei suoi colori alla Hasebe e da una sceneggiatura adattata come un guanto ai due protagonisti; interpretazione inclusa. Toshinori e Kazumi semplicemente perfetti nell'impersonare i due generi opposti, entrambi alle prese con le loro famiglie e con alcuni aspetti dei loro corpi. Nel montaggio avvengono alcune transizioni non tramite il taglio normale, ma spostando il fotogramma altrove... e la musica pare contemplare il rapporto non così complicato tra loro due. La Ragazza che Saltava nel Tempo (Toki o Kakeru Shojo, 1983) Kazuko Yoshiyama (Tomoyo Harada) è una studentessa della terza media che dopo avere pulito il laboratorio scolastico, percepisce l'odore della lavanda e perde i sensi: al suo risveglio scopre di avere il potere di viaggiare nel tempo. Quando la magia di un film prende il sopravvento, solo cose notevoli possono avvenire. Se nel primo tempo l'alone di mistero e gli effetti speciali animano le disavventure di Tomoyo, nel secondo il film decolla in letteralmente ogni cosa: stop-motion, flashback, green screen, colonna sonora, interpretazioni, alcune delle transizioni più belle nella storia del cinema e l'interpretazione da sveglia ingenué di Tomoyo. Finale da amaro in bocca ma interessante, trama colma di colpi di scena e sceneggiatura maniacale, soprattutto nella storia degli avvenimenti. Cuore Solitario (Sabishinbou, 1985) Hiroki Inoue (Toshinori Omi) è uno studente liceale che corteggia l'alunna Yuriko Tachibana (Yasuko Tomita), ma improvvisamente un'altra ragazza truccata da mimo appare nella sua vita. Manifesto per qualsiasi romantico in cerca della sua anima gemella. Il film stesso è un invito ad innamorarsi con tutte le proprie forze, visto da una lente scherzosa e creativa. Fotografia che tinge il tutto con dei colori caldi per dare l'idea del calore che si percepisce per l'intera durata del film nei confronti dei protagonisti, che nonostante i litigi iniziali nel secondo tempo il tutto decolla come nel capitolo precedente: pre-annuncia la fotografia dei colori nella penombra alla Wong Kar-Wai, la leggendaria interpretazione del duo Toshinori-Tomita ai massimi livelli di spontaneità in un finale melodrammatico, degno di chiudere la trilogia. Anche la musica fa' il suo ottimo lavoro nel farci innamorare... Conclusioni Che il vero artigianato, se svolto da veri artisti, passerà alla storia e sarà indelebile. Nobuhiko è stato uno tra questi, che negli anni ha continuato a perseverare con il suo mestiere, nonostante l'intento commerciale di alcuni suoi films. Se alcuni promuovevano le idols di allora, dall'altra sponda esponevano concetti sia visibili che astratti alla Godard: emozioni, immaginazione, locations, oggetti, etc... e tutt'oggi sono pietre miliari obbligatorie per qualsiasi cinefilo che voglia esplorare a fondo il Sol Levante, oltre a quel poco che passa sulle reti nazionali e sui DVD nostrani. Nobuhiko è morto, lunga vita a Nobuhiko!

  • Pistole a Noleggio (Hired Guns, 1981)

    Regia: Chung Gwok-Yan Sceneggiatura: Law Kwok-Wai, Tin Dik-Hang Produttore: Raymond Chow Casa di produzione: Golden Harvest, Paragon Films Distribuzione: Golden Harvest Fotografia: Law Wan-Shing Montaggio: Marco Mak Musiche: Sherman Chow --- Data di rilascio: 22 ottobre 1981 Sfortunatamente reduce dal suo "0.38" dell'anno precedente, Chung Gwok-Yan merita una profonda analisi sulla sua carriera, cosa che non ho fatto nel mio flopiziesco. Esordisce come attore, direttore di produzione e co-sceneggiatore nel cult introvabile di "Ironside 426" (1977) alla Golden Harvest, poi anche come sceneggiatore in altri 5 films, di cui 3 diretti da lui. Approda alla Shaw come regista nel 1978 con "Double-Cross" e dopo un breve periodo da indipendente ritorna alla GH con il poliziesco "Vice Squad 633" (1979). Si dirige anche a Taiwan per girare il film d'azione di "Sweet Vengeance" (1982), si ritira definitivamente come regista nel 1986 con "9 to 3" e dal mondo del cinema in generale con "The Truth of a Killer" (recitato e prodotto da lui stesso) nel 1992. L'ispettore Goony (Addy Sung) scatena una caccia alle triadi in città assieme alla sua squadra, ma a causa della sua persistenza costoro daranno la caccia alla sua famiglia... Film economico all'inverosimile e discreto nella sua esecuzione, che ad eccezione di Addy e di Phillip Ko Fei è composto da attori sconosciuti. Non deludono per nulla le scene d'azione, alcune da terza categoria e altre fulminee, dove temporali di piombo e sangue attenderanno il cast. A livello meccanico la fotografia ci regala momenti alla moviola e altri dove le ombre e le coreografie coesistono magicamente nella loro tensione, grazie anche al montaggio nei momenti adatti. Peccato che la musica non sia un granché, è quasi del tutto inascoltabile (ad eccezione della canzone nei titoli di coda). Addy impersona un insolito commissario di polizia che fa' della sua astuzia una dote maestra; il resto del cast riesce a veicolare gli ordini del commissario, ma con alcuni intoppi. Passabile, ma memorabile per la performance di Addy e per le scene d'azione spinte. Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del blog!

  • Focus (1996)

    Regia: Satoshi Isaka Sceneggiatura: Kazuo Shin Produttore: Nobutsugu Tsubomi Casa di produzione: Ace Pictures, Seiyu Productions Fotografia: Tetsuo Sano Montaggio: Satoshi Isaka Musiche: Hiroshi Mizuide --- Data di rilascio: 30 settembre 1996 (TIFF) E si ritorna a parlare di Satoshi, qui al suo esordio come regista. Come avevo già scritto nella mia recensione su "G@me" (2003), è uno dei registi che riuscì a sorvolare sul panorama ormai desolante dell'industria cinematografica nipponica negli anni '90, colma di films commerciali vuoti di qualunque significato. Se proprio dovessi fare una lista di registi che riuscirono ad essere dei fari nell'immenso buio della celluloide di allora, oltre a Satoshi vi inserirei anche Sogo Ishii, Takeshi Kitano, Kaizo Hayashi e Nobuhiko Obayashi. Speriamo che la lista continui ad ampliarsi giorno dopo giorno, poiché ci sono altre chicche che meriterebbero di essere dissotterrate dal dimenticatoio. Una troupe televisiva composta da tre persone decide di intervistare il radioamatore Kanemura (Asano Tadanobu), che durante le riprese riesce a captare la conversazione telefonica di una persona che parla di una pistola lasciata in un armadietto, pronta per essere usata da qualcuno. Immediatamente la troupe si focalizza sullo scoop e recupera la pistola, senza avvertire la polizia; ma quando un gruppo di ragazzini interferisce con le riprese, Kanemura spara a sangue freddo su uno di loro e fugge in auto... Intenso found footage thriller che attacca senza pietà la spettacolarizzazione mediatica della cronaca nera, sradicando dalle basi lo storytelling tentato dalla troupe nei confronti di Asano; un mondo fondato sul sensazionalismo privo di vergogna di cui ne è vittima quest'ultimo, trascinato dal gruppo in una tragica fine per il loro voler cercare ascolti ad ogni costo... Asano da bocca spalancata per la sua interpretazione. Nel primo tempo era l'incarnazione del tipico nerd incapace di intrattenere un discorso altrui, ma felicissimo radioamatore; nel secondo si tramuta in una furia implacabile nei confronti della troupe, mostrando alla telecamera il suo lato oscuro che nessuno vedrà davvero alla TV. Fotografia che immortala i colori desaturati di una metropoli colma di persone indifferenti, quasi zombificate alla visione di certi crimini che si consumano dinnanzi ai loro occhi. C'è bisogno di descrivere il montaggio e le musiche, adattissime per descrivere il mondo inquietante del film? Definitivamente uno dei films più riusciti del genere found footage, dove il cameraman (lo spettatore) vive la scioccante epopea di una persona finita verso un tragico fato a causa dei suoi irresponsabili colleghi. A basso costo, ma ad alto contenuto di colpi di scena. Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • In Strada (On za Rodo, 1982)

    Regia: Akiyoshi Kimata Sceneggiatura: Akiyoshi Kimata, Machiko Nasu, Hidenori Fujinaka Produttore: Yoshihisa Nakagawa Casa di produzione: Movie Brothers, Joy Pack Film Fotografia: Shunya Akagawa Montaggio: Akira Suzuki Musiche: Daiko Nagato --- Data di rilascio: 17 aprile 1982 Molti di voi lo conosceranno per il ninkyo eiga di "A Legend of Turmoil" (1992), ma già negli anni '70 riuscì a ritagliarsi un nome nei pinku eiga con la Million Film, iniziando a lavorare nella casa di produzione di suo padre Akitaka Kimata (Pro Taka Productions). Dopo essersi diplomato a Kyoto ed avere lavorato come marinaio, camionista e barista, nel 1966 si trasferisce a Tokyo con l'ambizione di divenire un pittore... ma quando vide per caso quell'ultimo respiro di Godard, si unì alla casa di suo padre e debutta come regista nel 1972 con "Joji no Hoshu": lui e suo padre videro un boom di tali produzioni per tutto il decennio. Nel 1982 decide di lasciare quel disgustoso mondo e gira il film che a breve tratterò, riuscendo a gravitare in numerosi generi fino ai giorni nostri: fu anche l'esordio di Hiroyuki Watanabe, che di lì a poco divenne una stella dei tokusatsu. A seguito di un inseguimento ad alta velocità in moto, l'agente Tetsuro Tomishima (Hiroyuki Watanabe) ferisce accidentalmente la modella Reiko Higa (Kumi Fujishima), rendendola claudicante. Tetsuro è devoto a chiedergli scusa, ma i suoi supervisori rifiutano la posizione dell'agente, affermando che sarebbe una mancanza di responsabilità della polizia: così decide di inseguire la modella, in ritiro verso la sua città natale a Okinawa. La polizia farà lo stesso con lui... Interessante commistione tra road movie e romanticismo, racchiuso in una cornice di poliziesco dove la polizia risulta non capire i sinceri desideri di Hiroyuki. Kumi effettua una caratterizzazione notevole a 360 gradi del suo personaggio, da depressa e furiosa a comprensiva e serena, grazie soprattutto alla sceneggiatura che le ha permesso di potersi esprimere emotivamente... anche nei confronti di Hiroyuki, che le prende verbalmente che fisicamente. Fotografia arricchita dai paesaggi sia diurni che notturni di Kagoshima, dalla cinepresa in costante movimento come il personaggio di Tetsuro, continuamente con dei primi piani sul suo volto grondante di sudore; montaggio a prova di noia che farà la sua figura nelle strepitose scene d'azione alla Seibu Keisatsu; accompagnato da delle musiche che riassumeranno la tematica ambigua del film, facendoci viaggiare mentalmente... unica pecca è l'assenza di sottotitoli in inglese, quindi ho provato a captare qualcosa con l'intuito. Riassumendo: siete in cerca di un poliziesco che analizza non solo il modus operandi della polizia stessa e dell'agente che lavora in tale ambito, ma senza essere banale e ripetitivo? Questo potrebbe essere la risposta a uno dei vostri pensieri clinici... Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • Prima dell'Alba (Before Dawn, 1984)

    Regia: Clarence Ford Sceneggiatura: Chen Fang Produttore: Tang Ching Casa di produzione: Fong's Film Productions (H.K.) Limited Distribuzione: Gau Cheong Fotografia: Johnny Koo Montaggio: Wu Kee-Charm --- Data di rilascio: 24 maggio 1984 Incasso: 3,781,395 dollari (443.239 euro) Uno dei films più oscuri dell'acclamato Clarence, da ricordare per il suo leggendario drago in Russia e la sua assassina non propriamente vestita adeguatamente. E' da segnalare la presenza di Deanie Ip, vincitrice di numerosi premi per le sue interpretazioni travagliate di personaggi emotivamente spinti: già prima del suo approdo al cinema era conosciuta negli anni '60 per essere una cantante. Esordisce come attrice nel 1978 con "The Chase", ma bisognerà attendere il "Cream, Soda and Milk" del 1981 per essere finalmente notata; vince un premio per "miglior attrice di supporto" al Golden Horse Awards di Taiwan. Esordisce anche in uno degli ultimi films prodotti dalla Shaw nel 1985, "My Name Ain't Suzie", anche qui vincitrice agli HKFA per la stessa motivazione a Taiwan. Degna di nota è anche Rachel Lee, nel suo secondo lavoro in assoluto sul grande schermo, che anche lei di lì a poco sarebbe divenuta un volto noto nel porto. Nel "Shanghai Blues" dello stesso anno, a firma di Tsui Hark, fu candidata a due premi per "miglior attrice di supporto" e "miglior nuova attrice" agli HKFA: entrambe lavorano ancora nel cinema hongkongese, come Jimmy Wong (nonostante il suo ultimo lavoro risalga al 2013). Mok Ka-Bo (Jimmy Wong) vive una vita difficoltosa: ripudia sua madre (Deanie Ip) che lavora segretamente come prostituta, ormai prossima a ritirarsi dal mestiere per la sua età avanzata. Ha appena interrotto una relazione con Fung (Alan Chan), a sua volta ostile al rifiuto di Mok e lo rivuole indietro. E' divenuto il nuovo fidanzato di Margaret (Rachel Lee), apparentemente una brava studentessa, ma vive in povertà ed è continuamente maltrattata da suo padre. Presto sarà inevitabile una tragedia da ambedue le parti... Melodramma fisso sull'acceleratore per quasi tutta la durata del film, che fortunatamente non intacca le interpretazioni di Deanie e Jimmy. Rachel un po' meno credibile nel suo ruolo di scolaretta apparentemente di buona famiglia, dalla lacrima facile. Guazzabuglio tra poliziesco, prostitute drama, romantico e triad movie, in cui è difficile illustrare la reale posizione del film. Ottima la metafora del film, che descrive cosa accade nella Hong Kong notturna per alcune persone come Deanie. Fotograficamente viene utilizzato di continuo della foschia e del temporale in una notte popolata di pericoli invisibili, con dei colori sbiaditi e tetri che simboleggiano il clima del film. Montato velocemente e da prestare attenzione a non perdere subito il filo logico delle scene, data la rapidità del tutto; musiche a tratti inquietanti (il carillon distorto è pesante da ascoltare) ed a volte profondamente memorabili nel tema, controverso, trattato. Definitivamente un prodotto guardabile più come documentario sulla prostituzione di notte a Hong Kong e sulle famiglie sotto la soglia della povertà, ma con una scorta di fazzoletti appresso. Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • Sorella Cattiva (Big Bad Sis, 1976)

    Regia: Sun Chung Sceneggiatura: Sze-To On Produttore: Run Run Shaw Casa di produzione: Shaw Distribuzione: Shaw Coreografie: Tong Kai, Huang Pei-Chih Fotografia: Lam Nai-Choi Montaggio: Chiang Hsing-Lung Musiche: Frankie Chan Trucco: Wu Hsu-Ching Costumi: Liu Chi-Yu --- Data di rilascio: 7 ottobre 1976 E si ritorna a parlare di Sun Chung, uno dei pionieri dimenticati della Shaw, che qui si avvale della presenza di altre stelle femminili come Chen Ping: attiva sin dall'età di 16 anni nel cinema, si unisce alla casa nel 1972 e si fece notare a Hong Kong per la sua performance nel "Kiss of Death" di Ho Meng-Hua. Si ritira nel 1983. Da allora fu una presenza fissa nei films a sfondo erotico, come per Siu Yam-Yam, che si unì alla casa nel 1976 e che continua a recitare tutt'oggi. Con un cast in prevalenza femminile, è da notare la partecipazione di Chen Kuan-Tai e Wang Chung, che è inutile spiegare chi siano costoro... Ah-Ying (Chen Ping) è una ex-malavitosa che da quando ha lasciato il giro delle bische clandestine, cerca di vivere una vita normale ed aiuta le sue colleghe di lavoro con le sue doti di kung fu. Fa' amicizia con le due colleghe Ah-Fong (Chong Lee) e Sai Chu (Siu Yam-Yam), insegnandogli alcune mosse di autodifesa. Una volta che le sue nuove amiche gli ricordano il suo passato, ricominceranno i guai: la banda riesce a sapere dove lavora e viene rapita... Fusione quasi riuscita tra il genere delle arti marziali e del genere tutto giapponese dei sukeban eiga, qui più rivolto alla redenzione, che alla delinquenza tipica del sottogenere. Sun si dimostra ancora una volta avanti a molti registi della casa, tramite alcune soluzioni tecniche come la Steadicam a mano ed alcune inquadrature movimentate alla Fukasaku; in ambito fotografico ci tiene a rendere "colorato" sia il guardaroba delle attrici che i veicoli usati, nel montaggio è ampiamente sfruttato il flashback delle tre protagoniste, che diventa di culto nelle scene d'azione per come siano scorrevolissime. La musica? Poca roba, ma davvero notabile per l'essere presente in scene davvero spinte, come la canzone d'amore suonata nel momento in cui Ku Kuan-Chung e Kong Oh-Oi lo fanno su una piattaforma in vetro, senza vestiti. Nel complesso un prodotto passabile, ma da segnalare per la tematica al femminile nei luoghi di lavoro e per le interpretazioni per nulla male di quasi tutto il cast. Gradevole sorpresa: spero di trovare una perla simile nell'enorme archivio della Shaw... Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • Jagko (1980)

    Regia: Im Kwon-Taek Sceneggiatura: Song Gil-Han Produttore: Kang Dae-Jin Casa di produzione: Sam Yeong Films Co. LTD Fotografia: Koo Joong-Mo Montaggio: Kim Hee-Su Musiche: Kim Young-Dong Trucco: Kim Yong-Hak --- Data di rilascio: 23 ottobre 1980 Con all'attivo un totale di 102 films da regista, Im è un degno veterano del cinema di genere sudcoreano. Classe 1934, in cerca di lavoro si dirige a Seoul nel 1956 e viene ospitato da Jeong Chang-Hwa (a sua volta ospite della Shaw a Hong Kong) come assistente di produzione. Su consiglio di Jeong, esordisce come regista nel 1962 con "Farewell to the Duman River": molto prolifico (capace di dirigere otto films all'anno), ma che riuscirà a spiccare definitivamente il volo nel 1981 con "Mandala". Considerabile anche uno dei pilastri della "Korean New Wave", dato che nel "Sopyonje" del 1993 riuscì ad attirare un milione di spettatori nella sola Seoul, di fronte a molteplici blockbusters importati dell'epoca: praticamente il primo film sudcoreano a riscuotere un enorme successo in casa propria. Lascia, per ora, il mondo del cinema nel 2014 con "Revivre". Premiato dal governo francese nel 2007 con la Legion d'Onore ed il primo regista coreano a ricevere il premio di "miglior regista" al Festival di Cannes nel 2002 con "Chihwaseon", anche i suoi figli continuano il mestiere del padre, primo fra tutti Im Dong-Jae. Il giovane poliziotto Song Ki-Yol (Choi Yun-Seok) cattura Jagko (Kim Hee-Ra), il capo di un gruppo di guerriglieri comunisti durante la guerra di Corea, ma sfortunatamente gli sfugge. Una volta radiato dal corpo di polizia, gli da' la caccia per oltre 30 anni... fino a ritrovarsi anziani in un istituto per l'igiene mentale. Mai gettare via la propria vita: riassunto del film, che tramite continui flashbacks ci racconta come la vita di entrambi si sia consumata nel peggiore dei modi. La fotografia effettua un ottimo lavoro nel desaturare i colori ed immortalare i paesaggi sia squallidi che indimenticabili di una Corea ancora non cicatrizzata dall'omonima guerra, impersonata dai due protagonisti ormai sfiniti dal darsi continuamente la caccia. Durante questa caccia, il tutto è stato montato efficacemente nelle scene intense, dove si passa dall'emarginazione all'amicizia. Musica ridotta all'essenziale, ma molto ben sfruttata nei momenti chiave. Pellicola da mostrare ai miei coetanei, prima che loro si pentano dell'aver buttato via i migliori anni della loro giovinezza in fesserie varie... poiché non torneranno mai più indietro. Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • Panico al Liceo (Koko Dai Panikku, 1978)

    Regia: Sogo Ishii, Yukihiro Sawada Sceneggiatura: Sogo Ishii, Ryuji Ohya, Fumio Konami Produttore: Ryuji Ohya Casa di produzione: Nikkatsu Distribuzione: Nikkatsu Fotografia: Yoshihiro Yamazaki Montaggio: Akira Suzuki Musiche: Space Circus --- Data di rilascio: 19 agosto 1978 Esordio alla regia di Sogo, già allora instancabile artigiano della cinepresa alla sua casa cinematografica Crazy Film Group: prendeva in prestito dalla Nihon University tutto l'occorrente per poter girare in libertà i suoi cortometraggi. Deciso a realizzare i suoi sogni su celluloide, uno dei suoi corti fu notato da una Nikkatsu in agonia dal 1971 e gli diede i fondi per adattarlo sul grande schermo. Lo diresse assieme a Yukihiro Sawada, anche lui veterano della N. Entrato a lavorare nel 1956, fu uno dei principali sostenitori della "New Action" della casa e debutta come regista nel 1970 con il yakuza eiga di "Melody of Rebellion", fino al suo ritiro definitivo nel 1999. Passa a miglior vita nel 2022 all'età di 89 anni. A seguito del suicidio di uno studente per via della severità di un professore di matematica, Jono (Shigeru Yamamoto) decide di vendicarsi, sottraendo un fucile di precisione... Seishun eiga talmente ad alta tensione che gronderete anche voi dal sudore, soprattutto per la miscela esplosiva tra poliziesco d'azione e documentario sulle dure condizioni di vita degli studenti nelle scuole giapponesi, illustrata senza filtri. Fotografia intensissima come il protagonista, colma di moviole e di riprese con la telecamera a mano, inclusi dei continui primi piani sui volti grondanti di sudore di Atsuko Asano (futura stella del piccolo schermo nel prossimo decennio) e Shigeru: il tutto montato senza intoppi e momenti morti, incorniciato dalle musiche irruente degli Space Circus che riescono ad animare la forte energia di Sogo nel raccontare l'intera vicenda nel film. Se esistesse una lista dei films prodotti dalla Nikkatsu al di fuori del disgustoso genere dei pinku eiga, sarei uno dei primi a vedermela in fondo. Sogo è uno di quei registi incompresi in patria, ma celebrati all'estero: il suo stile punk e ribelle ne è la dimostrazione. Una sana boccata d'aria al di fuori dei filmetti a solo sfondo commerciale. Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • Mai Troppo Tardi per Pentirsi (Never Too Late to Repent, 1979)

    Regia: Ulysses Au-Yeung Jun Sceneggiatura: Kevin Chu Produttore: Ma Hong-Yong Casa di produzione: Hung Yeung Yau Haan Gung Shut Distribuzione: Cheung Gong Co. LTD (HK) Fotografia: Chin Chang-Tung Montaggio: Kwok Ting-Hung Musiche: Huang Mao-Shan Costumi: Suen Chi-Yung Trucco: Hsiao Hsing-Mei --- Data di rilascio a Hong Kong: 1° ottobre 1980 Considerabile il Taylor Wong taiwanese, per il suo essere molto prolifico nella sedia da regista: vanta all'attivo un totale di 56 films di ogni genere, di cui due sceneggiati da lui nel 1973 e nel 1976 ed altri due prodotti da lui nel 1982 e nell'anno seguente. Come attore ancora di più, 118 films all'attivo. Sul finire degli anni '70 inaugura un filone che fece impazzire la pesante censura taiwanese dell'epoca, i cosiddetti "black movies", films violenti e colmi di neorealismo su cosa il Paese ha lasciato dopo la morte di Chiang Kai-Shek: davano così fastidio che nel 1983 il governo di Taiwan interruppe la produzione del genere ed ordinò la distruzione di ogni copia appartenente al filone. Ma Sha, cresciuto senza genitori e già all'età di 13 anni lavorava come vedetta in un bordello, dopo avere tolto di mezzo un uomo viene incarcerato e riesce a fuggire. Catturato di nuovo, viene trasferito al riformatorio di Orchid Island: da allora comincia a pentirsi di ciò che ha fatto in passato... nonostante le difficoltà a reintegrarsi nella società, scrive la sua biografia e ha intenzione di farsela stampare; ma la strada è ancora lunga, soprattutto colma di trabocchetti. Storia amara di una persona che si macchia di un crimine imperdonabile, a causa dell'abbandono dei suoi genitori. Da proiettile vagante quale era, è riuscito a placare la collera come proiettile pronto a conficcarsi nei confronti di chi attacca i deboli. Definitivamente un mezzo documentario riuscito nella sua profondità nell'analizzare le enormi difficoltà di chi era stato nel mondo della criminalità, dove nell'altra sponda è un poliziesco ascrivibile al genere "quinqui"; dove al posto della droga che distruggeva le strade della Spagna, qui è la violenza a mettere a repentaglio le strade di Taiwan. Fotografia ben riuscita con l'aiuto della moviola nella scena madre del film (dove avviene il misfatto) e piena di colori desaturati alla Decae per indicare l'iter del nostro protagonista verso una vita normale; montaggio troppo veloce e disconnesso in alcuni punti, ma non intacca l'atmosfera; musica ridotta all'essenziale, ma con una canzone che spiega esaustivamente il perché bisogna essere fedeli alla legge e rispettare le vite altrui. Unica grande pecca è la mancanza di audio in alcune parti del film, che ci fa' perdere alcuni dialoghi che potevano essere di aiuto nel sapere a cosa stesse andando incontro Sha... Dimostrazione che anche Taiwan riusciva a girare i suoi documentari politico/sociali alla Damiani, rivolgendo uno sguardo più ravvicinato agli effetti nefasti della criminalità... un consiglio a voi spettatori: mai mettere piede in tale spirale, restate puliti sia dentro che fuori. Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • Anti-Corruzione (Anti-Corruption, 1975)

    Regia: Ng See-Yuen Sceneggiatura: Ng See-Yuen Produttore: Pau Ming Casa di produzione: The Eternal Film (H.K.) Co., Seasonal Film Corporation Fotografia: William Cheung Kei Montaggio: Poon Hung, Sung Ming Musiche: Stanley Chow Trucco: Norman Law Man --- Data di rilascio: 21 agosto 1975 Incasso: 2,543,074 dollari (298.460 euro) Ottavo film diretto e quinto scritto da Ng See-Yuen, una delle pietre miliari della New Wave hongkongese che al termine del decennio lanciò la carriera del misconosciuto Jackie Chan, grazie alla sua casa fondata nel 1974. Nato nella Shanghai giapponese nel 1944, lavorò sia come guardia giurata che come insegnante delle scuole secondarie, per poi approdare come sceneggiatore ed assistente alla regia nel 1969 con il wuxia di "Heroic Sword". Esordisce alla regia nel 1972 con "The Bloody Fists" e produce il suo primo film nel 1974, "Kidnap in Rome". Assieme alla sua casa produce interamente i due wuxia che resero famoso Jackie a Hong Kong nel 1978, inclusi altri capofila della New Wave e divenne il primo produttore hongkongese a girare un film d'azione negli USA... che fece decollare la carriera di Van Damme e di Kurt McKinney, era il 1986. Si ritira come regista nel 1985 con il courtroom drama di "The Unwritten Law", come sceneggiatore nel 1996 e come produttore nel 2013. Tutt'oggi presidente onorario della Gilda dei Direttori di Hong Kong e anche della Federazione dei Registi di Hong Kong, è anche il co-fondatore della catena di cinema multisala "UME International Cineplex": vanta addirittura la gestione di un club di basket della Hong Kong A1 Division! La polizia di Hong Kong è corrotta ovunque: nessuno agisce per garantire l'ordine pubblico, ma solo per i propri interessi. All'arrivo di Hunter (Bill Lake) dall'Inghilterra, la situazione continuerà a peggiorare, fino a divenire stranamente ricco e come nuovo sovrintendente del corpo di polizia... ma la sezione anti-corruzione inizia ad investigare su di lui... Interessante documentario misto a poliziesco dal ritmo parecchio sconnesso in alcuni punti, che purtroppo rovinano l'atmosfera del film: potevano risparmiarsi la scena dove Bill si divertiva in discoteca, ed altre simili. Interpretazioni per nulla male da quasi tutto il cast. Lake spaventosamente adatto nella sua transizione da eroe ad antagonista, nonostante lui aveva i mezzi per poter combattere la corruzione nella polizia. Nulla di interessante a livello fotografico, ma nel montaggio è qualcosa di leggermente piacevole nel suo cercare di essere scorrevole. Musiche funky che sprizzano anni '70 da ogni poro, perfette per un effetto nostalgia e anche nelle scene importanti. Tratto da una storia realmente avvenuta nel 1973, dove il governo di Hong Kong formò una commissione di inchiesta per indagare sulle alte somme di denaro nel conto di Peter Godber, che portò alla nascita dell'ente anticorruzione ICAC nel febbraio del 1974. Un decennio dopo fu girato anche un secondo adattamento della storia di Godber, di cui ne parleremo prossimamente. Ha come protagonista Andy Lau... Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • [Neronoir #4] Confessione di una Moglie (Tsuma Wa Kokuhaku Suru, 1961)

    Regia: Yasuzo Masumura Soggetto: Masaya Maruyama Sceneggiatura: Masato Ide Casa di produzione: Daiei Distribuzione: Daiei Fotografia: Setsuo Kobayashi Montaggio: Tatsuji Nakashizu Musiche: Riichiro Manabe --- Data di rilascio: 29 ottobre 1961 Altra opera immensa di Masumura, che qui riutilizza parte del casting di "Giants and Toys" (1958). Ayako Wakao vinse due premi per "miglior attrice", per via della sua performance nel film. Girato sull'onda della "noberu bagu" iniziata dalle pellicole di Oshima, è considerabile uno dei primi films noir prodotti interamente in Giappone (dopo l'arrivo di "Intimidation" nel 1960). A seguito della morte del marito di Ayako Takigawa (Ayako Wakao) durante una scalata in alta montagna, la polizia accusa lei di omicidio e viene costretta a fare una confessione. Viene sottoposta a processo assieme al suo amante segreto e dipendente di una casa farmaceutica Osamu Koda (Hiroshi Kawaguchi), che testimonierà per scagionare l'accusa contro di lei. Una volta scagionata, Osamu trascorrerà parte del suo tempo libero con Ayako, nonostante abbia dall'altra sponda una ragazza (Haruko Mabuchi) che mira a lui... ed Osamu si allontanerà progressivamente da Ayako... Una delle interpretazioni più intense in circolazione. Yasuzo superlativo nel fotografare amaramente la grancassa mediatica e sociale contro una donna che si è salvata da morte certa, eccezionalmente interpretata da una Ayako difficile da empatizzare rispetto ad Hiroshi, ma verso il finale vi attenderà un fragoroso effetto boomerang da chi ha deciso di stare dalla parte di Hiroshi o di Ayako... difficile da guardare fino in fondo, ma rimane un umile documento del Giappone del secondo dopoguerra. Fotografia sconsigliata ai claustrofobici, dato che quasi tutte le scene sono state filmate in delle stanze parecchio minuscole, ma consigliata agli amanti del noir... in quanto colma di ombre; montaggio con parecchi piani sequenza longevi e taglio veloce in scene dove si incamera la tensione, come nel tribunale con i due protagonisti. Musica che è come un pugno allo stomaco, pesante e che amplifica la situazione già complicata del film. Sbaglio a paragonare Yasuzo al Fernando Di Leo del cinema giapponese? Le cineprese, in loro compagnia, catturavano l'essenza di una società già da allora destinata ad una decadenza irreversibile... Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • [Flopiziesco #29] Il Servitore (The Servant, 1979)

    Regia: Ronny Yu, Phillip Chan Sceneggiatura: Joyce Chan, Phillip Chan, William Ho, Ronny Yu Produttore: Jimmy Yip Casa di produzione: Bang! Bang! Films Coreografie: Michael Chan Fotografia: Joe Chan Montaggio: Wong Yee-Shun Musiche: Joseph Koo, Phillip Chan Costumi: Fung Kam-Seung Trucco: Chan Tit-Ming --- Data di rilascio: 19 luglio 1979 Doppio debutto alla regia di Ronny e Phillip, un duo di registi che avrebbero cambiato a fondo il genere poliziesco di Hong Kong. Ronny, che da pargolo ha sofferto di polio e fu costretto a studiare marketing e comunicazione alla Ohio University (poiché suo padre si rifiutava di pagargli gli studi alla UCLA), divenne regista grazie all'amicizia con Phillip, che per ben 15 anni fece l'agente di polizia fino a divenire consulente e co-sceneggiatore del cult di "Jumping Ash" (1976). Una volta trovato l'investitore, diedero la loro sceneggiatura sulle mani di numerosi registi: l'avevano scritta dopo che loro due fecero una gita nei quartieri più malfamati del porto, durante l'estate del 1978... lui ammanettava i criminali, Ronny assisteva al tutto. Nessuno di loro li ha presi sul serio. Così decisero di divenire registi, a loro rischio e pericolo. L'ispettore Chow (Paul Chu Kong) vive ancora a casa di sua madre, mentre Pong (Phillip Chan) ha dei problemi con il gioco d'azzardo: entrambi uniscono le forze e danno la caccia ad una gang pronta per fare una rapina: ma anche loro sono sulle tracce del duo. Quando la banda inizierà a colpire Chow, lo spargimento di sangue avrà inizio... Anonimo poliziesco, sommerso nella mediocrità della trama. Nel primo tempo si perde tra la macchinosità degli eventi e con l'intreccio amoroso tra Paul e Terry Hu, oltre alle sue disavventure con la madre e nel corpo di polizia. Azione ridotta ai minimi storici, con rare eccezioni nel secondo tempo (e che nonostante siano state coreografate dal Bruce Lee delle triadi, purtroppo non ci salvano dall'asfissiante atmosfera della trama), intaccate dall'inespressività dei due protagonisti. Sull'altra sponda il tutto viene accompagnato da una fotografia per niente male, con alcuni movimenti della cinepresa a mano nelle scene intense; inclusi dei fermo immagine ingranditi in stop-motion al finale. Montaggio che è l'unico punto forte del film, di una precisione fenomenale nelle scene d'azione e scorrevolissimo in questo lassativo, dotato anche di musiche adatte alla tensione che doveva imperare nel cast... ma purtroppo non è stato così, in parte dovuto anche al budget molto risicato a disposizione: lo si capisce anche dal guardaroba dei protagonisti. Con un po' di dispiacere, "The Servant" aveva tutti gli ingredienti per divenire uno dei simboli della New Wave del porto, ma purtroppo le numerose occasioni che il film aveva per decollare (Joseph Koo, Terry Hu, Paul Chu Kong...) fallirono dall'inizio. Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

  • Choji Snack Bar (Izakaya Choji, 1983)

    Regia: Yasuo Furuhata Soggetto: Hitomi Yamaguchi Sceneggiatura: Yasuko Ono Casa di produzione: Tanaka Productions Distribuzione: Toho Coreografie: Kanzo Uni Fotografia: Daisaku Kimura Montaggio: Akira Suzuki Musiche: Takayuki Inoue, Tokiko Kato Data di rilascio: 12 novembre 1983 Se c'è un regista che più di tutti ha collaborato con Takakura, Yasuo è la risposta: vanta all'attivo un totale di 20 films con lui, dal 1966 al 2012. Appassionato del cinema francese e studioso dell'omonima lingua da autodidatta, nel 1957 entra alla Toei e quasi subito gli fu chiesto di girare un jidaigeki; rifiutò e andò a lavorare come assistente alla regia. Esordisce nel 1966 con "Young Delinquent Girl", considerabile uno degli antenati dei sukeban eiga. Nel 1974 lascia la casa per via di una rottura avuta con i suoi vertici e divenne un libero professionista: ci ritorna nel 1978 assieme a Takakura con "Winter's Flower". Due decenni dopo, nel 1999 vinse il premio di migliore regista e sceneggiatore al Japan Academy Award per il suo "Poppoya". Continuò a girare films fino al "Reminiscence" del 2016, dove cominciò a sviluppare il morbo di Parkinson: passa a miglior vita nel 2019 all'età di 84 anni, a causa di una polmonite. Eiji, noto ai residenti di Hakodate come Choji, decide di lasciare i cantieri navali per poi aprire un piccolo Izakaya (bar) assieme a sua moglie. In città riappare una sua vecchia fiamma, non contenta del suo attuale matrimonio: una volta raggiunto Eiji, scompare poco dopo. La polizia e gli abitanti indagano sulla sua sparizione... Il fazzoletto giallo di Yamada, ma senza l'auto e la speranza che lo contraddistinguevano. Qui ci troviamo davanti a una sua versione dal finale nefasto, dove il film ci riempie di domande sin dall'inizio: chi è costei? Perché si sono lasciati? Per avere le risposte basterà avere molta pazienza, in quanto le due ore di durata aiuteranno non solo a rilassarci per il paesaggio dell'isola di Hokkaido, anche nel fattore nostalgia della città di Hakodate... ma nella trama causerà una lunga serie di sbadigli. Invece di risolvere il tutto con la sua ex-fidanzata, è un continuo susseguirsi di disavventure che ci prepareranno al sanguinolento finale. Fotografia che sfrutta molto il flashback su come Takakura sia arrivato a lavorare in un Izakaya e sulle precedenti avventure con la sua fiamma, che si avvalora dei colori vivaci dell'isola sia di giorno che di notte, rendendo il tutto accogliente. Montaggio carico di longevi piani sequenza ed editato a dovere. Colonna sonora che prova anche lei a venirci incontro su questo mezzo disastro, con alcuni notevoli pezzi da cartolina... inclusa la canzone nei titoli di coda, cantata dallo stesso Takakura. Consigliato esclusivamente agli appassionati di Takakura. E' un film che aveva un potenziale enorme, purtroppo sprecato per via del vagabondare della sceneggiatura tra i pensieri del protagonista e il suo mestiere attuale. Rimane guardabile per chi vorrebbe visitare Hokkaido... e scoprire i segreti del suo essere così selvaggia, ma così amabile. Ci vediamo in un'altra recensione, cari spettatori del sito!

bottom of page